SOCIETAS DELINQUERE (NON) POTEST
La responsabilità penale amministrativa degli enti in seguito al D.Lgs. 231/2001 e le prime interpretazioni dei tribunali
Il regime precedente all’introduzione del Decreto Legislativo nr. 231 del 8 Giugno 2001 prevedeva che l’ente, in caso d’illeciti commessi dai propri rappresentanti, avesse solo l’obbligo di farsi carico delle multe o ammende inflitte personalmente al legale rappresentante o amministratore in caso d’insolvenza del soggetto responsabile. Con l’entrata in vigore del D. Lgs. 231/01 viene superato il principio per cui “societas delinquere non potest” e gli enti, anche privi di personalità giuridica, con esclusione dello Stato, degli enti pubblici territoriali e a rilievo costituzionale, possono essere chiamati a rispondere dei reati posti in essere dai loro amministratori, dirigenti e dipendenti se realizzati nell’interesse dell’ente stesso. La responsabilità ha natura sia penale che amministrativa e va a sommarsi ai rilievi personali dell’autore dell’illecito. La condotta criminosa comporta l’obbligo di rispondere con il proprio patrimonio sociale e pregiudica, di conseguenza, anche gli interessi economici dei soci. Facendo un breve cenno alle sanzioni previste dalla legge, distinguiamo sanzioni pecuniarie e sanzioni interdittive. Le prime vanno da un minimo di € 25.822,84 ad un massimo di € 1.549.370,69; le seconde comprendono l’interdizione della società o associazione dall’attività, la sospensione o la revoca delle autorizzazioni o licenze, il divieto di contrarre con la P.A., l’esclusione da finanziamenti e sussidi o la revoca di quelli concessi, il divieto di pubblicizzare beni e servizi, fino alla confisca e alla pubblicazione della sentenza. Si annoverano tra le condotte illecite da cui scaturisce la responsabilità degli enti (lista in via di possibile ampliamento): – Malversazione a danno dello Stato – Indebita percezione d’erogazioni a danno dello Stato – Truffa ai danni dello Stato – Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche – Frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico – Concussione – Corruzione – False comunicazioni sociali – Impedito controllo – Illecita influenza sull’assemblea – Aggiottaggio – Ostacolo all’esercizio delle funzioni delle Autorità pubbliche e di vigilanza – Illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o delle società controllate – Operazioni in pregiudizio dei creditori Quanto al regime probatorio, esso è particolarmente sfavorevole per la società perché è previsto l’inversione dell’onere della prova, ovvero sarà l’ente a dover dimostrare, a seconda dei casi, di aver posto in essere alcune condotte preventive e tutelanti. In particolare, se l’illecito riguarda soggetti che sono in posizione apicale occorre provare di aver adottato modelli organizzativi e di controllo idonei a prevenire i reati; di aver istituito un organo di controllo; oppure che la condotta dei vertici abbia fraudolentemente superato tali cautele e non sia avvenuto per omissioni o negligenze del controllo. Se il reato è stato posto in essere da un dipendente, il regime probatorio è più tenue, non dovendosi provare la fraudolenza elusiva. Per far si che l’ente eviti di incorrere in sanzioni pecuniarie o interdittive per condotte di membri della proprio organigramma sarà opportuno individuare le aree di rischio della propria struttura e dell’attività svolta. In seguito, è necessario predisporre modelli di gestione, controllo ed efficienza, mirati a limitare i rischi. Contemporaneamente dovrà istituirsi un organo interno con funzioni di controllo e capacità disciplinari. In pratica, sebbene non sia ancora obbligatorio per gli enti, salvo che per le società quotate nel segmento Titoli ad Alti Requisiti (Star) con termine al 31 Marzo 2008 secondo il regolamento Consob, sarà opportuno che ogni società o ente adotti un modello di prevenzione dei reati. Ciò che si deve osservare è che i modelli di organizzazione e gestione possono essere adottati sulla base di codici di comportamento. Detti codici sono redatti dalle associazioni rappresentative degli entri e comunicati al Ministero della Giustizia che può formulare, entro trenta giorni, osservazioni in ordine alla idoneità di tali modelli. Il D.Lgs. 231/2001 riconosce ai suoi destinatari il potere di adottare efficacemente una serie di sistemi volti ad evitare i rischi di reati offrendo come contropartita una sorta di “immunità” per l’eventuale fatto criminoso. La ratio che anima il legislatore è quella di motivare l’ente non solo alla semplice adozione di un modello di prevenzione ma lo spinge alla concreta applicazione. La corretta prevenzione prevista dalla 231 è quindi subordinata alla funzionalità del modello e dall’attività di vigilanza che sia strutturata per individuare ed eliminare il rischio. Occorre che le società prendano atto di come la riforma abbia cambiato radicalmente il modo di concepire l’ente, divenuto oggi soggetto d’indagine penale. I Tribunali saranno chiamati a valutare se l’ente è connivente con gli autori dei reati, perché ha creato modelli di prevenzioni inadatti, o viceversa, se ha espletato correttamente i dettami della legge in tema di compliance. IL CASO IMPREGILO: Il Tribunale di Napoli, con l’ordinanza del Gip del 26 Giugno 2007 è entrato nel merito degli strumenti organizzativi dell’ente, infliggendo in via cautelare la sanzione interdittiva di una anno dalla contrattazione con la pubblica amministrazione e sequestrando una ingente somma di denaro. Il Gip partenopeo così argomenta: “Occorre premettere che, sotto l’aspetto strutturale e contenutistico, il modello deve rappresentare l’esito di una corretta analisi del rischio e, pertanto, l’esito della corretta individuazione delle vulnerabilità oggettive dell’ente in rapporto alla sua organizzazione ed attività. Una volta effettuata la cosiddetta mappatura del rischio, individuate cioè tutte le aree sensibili, deve stabilire per ognuna di esse degli specifici protocolli di prevenzione che regolamentino nel modo più stringente ed efficace possibile le attività pericolose, sottoponendo le regole a un efficace e costante azione di controllo e presidiandole con altrettante e adeguate specifiche sanzioni per perseguirne le violazioni e per garantirne un effettiva attuazione dell’intero sistema organizzativo così approntato per rendere cioè il modello non un mero strumento di facciata dotato di una valenza solo formale, ma uno strumento concreto e soprattutto dinamico idoneo a conformarsi costantemente con il mutamento della realtà operativa e organizzativa della persona giuridica. Benché il modello di organizzazione sia unico, le sue previsioni devono diversificarsi il relazione allo specifico rischio-reato da prevenire e considerata la pluralità degli agenti di rischio devono essere modulate sia sul momento della formazione e dell’attuazione della volontà dell’ente che sul successivo momento esecutivo. Inoltre, quando già determinati reati si sono verificati ovvero è altamente probabile che si siano verificati, l contenuto programmatico del modello, in relazione all’area in cui gli indicatori di rischio sono più evidenti, dovrà necessariamente essere calibrato e mirato all’adozione di più stringenti misure idonee a prevenire o a scongiurare il pericolo di reiterazione dello specifico illecito già verificatosi.” (Il Sole24ore, n.200, 23.7.07). Pertanto, l’autorità giudiziaria è chiamata a fare un duplice controllo sui modelli di prevenzione: la valutazione in astratto dell’idoneità del modello e l’efficacia in concreto della sua applicazione. Ed è proprio sulla corretta applicazione che viene in risalto l’individuazione e le qualità dei soggetti responsabili del controllo, i quali devono essere dotati di professionalità specifica, indipendenti e non aver subito condanne per i reati previsti dal D.Lgs. 231/01.
Avv. Emanuele Bianchi

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